Un articolo di Tiziana Tricarico da Il Mattino del 13-03-2016
Matarese, i linguaggi sperimentali di un’artista libera.
E’ protagonista della scena artistica napoletana dagli anni Sessanta. Eppure Rosaria Matarese conserva inalterati entusiasmo e capacità di meravigliarsi. Così come è intatta la sua volontà di sperimentare. Sogni, trasparenze, memorie, ambiguità definite dall’assemblaggio di oggetti, ritagli fotografici, impasti di colore, fanno da sempre parte del suo modo di esprimersi. Racconta l’artista, ma anche e soprattutto la donna, “Rosaria Matarese”, l’antologica in corso al Pan di via dei Mille fino al 10 aprile.
Promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune, la mostra propone quasi un centinaio di opere, tra dipinti ed installazioni, in cui materiali i più diversi, spesso di recupero, si vestono di nuovi significati in lavori che tracciano non solo il percorso di ricerca dell’artista ma anche uno spaccato importante della storia dell’arte napoletana. “Fin dagli inizi quando, giovanissima, agisce in piena sintonia con Linea Sud, gruppo in contatto con le avanguardie europee più interessanti – sottolinea il curatore Mario Franco – a caratterizzare il suo lavoro è una grande sperimentazione linguistica”. Il percorso espositivo parte proprio dai lavori con tecniche miste e collage realizzati negli Anni Sessanta appena terminata l’Accademia di Belle Arti: “Ho studiato con Giovanni Brancaccio, un figurativo. E per rifiutare, ma con il massimo rispetto, gli insegnamenti del Maestro ho cominciato a lavorare con i materiali più diversi, persino una sottogonna in crinoline che mi permettevano di ottenere un effetto estremamente materico!. In queste opere la figura scompare quasi del tutto salvo ricomparire come morbide linee curve o elementi di collage e disegni. Ecco allora i primi “praticabili”, secondo la definizione di Mario Persico, o “strutture modificabili”, secondo quella di Matarese; espressione dell’indeterminazione tra creazione artistica, intervento del fruitore e rifiuto del quadro come campo iconico chiuso.
All’interno dei quali sono inseriti foto, disegni, scritte di tipo erotico o politico, in un vivace collage di ispirazione pop: “A dimostrazione che si può dipingere con tutto”.
Ed è evidente l’influenza del ready-made di Duchamp. Le sue pitto-sculture, i suoi “praticabili” – che quando di grandi dimensioni diventano dei veri e propri “ambienti” – trascinano lo spettatore dentro una storia. E lo spingono a riflettere su quel labile confine che esiste tra realtà e finzione. Come quei legni spiaggiati, trovati sulla riva del mare (“Non li cerco, sono loro a chiamarmi, a suggerirmi cosa vogliono diventare. Ed io li aiuto”), trasformati in pesci coloratissimi. Le strade facili non sono mai state prese in considerazione da Matarese, “artista libera”, che si racconta con estrema sincerità. La sua arte, attraverso l’ironia di uno sberleffo – con uno specchio rotto a riflettere la lunga lingua dei suoi dipinti – spazia dalla messa in scena teatrale delle sue scatole piene di frammenti di vita alle ante-sipario che si aprono e si chiudono, ai dipinti con più superfici.
Nelle sue opere però c’è sempre lei, le sue emozioni di fronte agli avvenimenti del mondo, come quando utilizza degli ex voto, per parlare della vendita di organi, o il ciclo di lavoro dedicato ad Abu Ghraib o alla guerra in Afghanistan. Negli ultimi anni proprio i “praticabili” hanno subito un’ulteriore evoluzione diventando molto piccoli (“Quasi tascabili”, sottolinea). Ennesima tappa della sua perenne ricerca. Catalogo (Marchese Editore), vero e proprio libro con testi, tra gli altri, di Mario Persico, Stelio Maria Martini, Gabriele Frasca e foto di Fabio Donato, Barbara La Ragione, Franco Vergine.
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